martedì 10 agosto 2010

L'impero veneziano

L'impero veneziano
Anno Mille. Il giorno dell'Ascenscione, un'armata navale veneziano prende il mare. La comanda personalmente il doge, Pietro II Orseolo, e il suo obiettivo è l'opposta sponda adriatica. Sono secoli che le navi veneziano trafficano con quella sponda; ma, questa volta, si tratta di una spedizione militare in grande stile. A Ossero, gli abitanti, latini e slavi, giurano solennemente obbedienza al doge. La scena si ripete a Zara, dove sono convenuti anche i rappresentanti delle isole di Arbe e di Veglia. Sono cerimonie pacifiche e festose, ma, con gli slavi di Dalmazia, le cose vanno diversamente. Il doge costringe con la forza alla sottomissione gli abitanti delle isole di Pasman e di Vergada, cattura, presso l'isola di Cazza, un convoglio di slavi narentani, nemici secolari di Venezia; poi, ancora, espugna l'isola di Curzola, che tenta di resistergli, e quella di Lagosta, asilo di corsari. Di là fa ritorno, ripercorrendo, in trionfo, tutta la costa dalmata. Era un pezzo che Venezia aveva da fare i conti con gli slavi specialmente i narentani, corsari incalliti. Forse è leggenda il ratto delle spose veneziane, avvenuto nel corso di una cerimonia nunziale collettiva a Santa Maria Formosa nel 946 o 948, ma è certo che nel 912 pirati serbi avevano catturato nientemeno che Pietro Badoer, figlio del doge regnante e futuro doge lui stesso, di ritorno da una missione diplomatica in Oriente, e che il doge Pietro I Candiano aveva perso la vita in uno scontro con gli slavi della Narenta nell'887. Anche i saraceni si erano pericolosamente affacciati all'alto Adriatico, ma ne erano stati scacciati ripetutamente e definitivamente. La spedizione del doge Orseolo non è che l'episodio più spettacolare della lunga lotta sostenuta da Venezia per la sicurezza della navigazione nell'Adriatico, passaggio obbligato per i suoi traffici marinari. A essa la tradizione fa risalire la dominazione veneziana sull'Istria e sulla Dalmazia (il doge, da allora, assume il titolodi "duca dei Venetici e di Dalmati"); dominazione contrastata per secoli e, quanto alla Dalmazia, definitiva soltanto dal 1420, dopo interminabili contese, rivolte, scontri e guerre guerreggiate, particolarmente contro i re d'Ungheria, da quando quest'ultimi hanno unito alla propria corona del regno di Croazia. Ma, otto anni prima, nel 992, Pietro II Orseolo aveva registrato un successo di portata ancora maggiore, ottenendo dall'imperatore di Bisanzio una "bolla d'oro" che riconosceva sostanzialmente la preponderanza veneziana nel traffico marittimo tra l'Italia e Costantinopoli e affidava, praticamente, ai veneziani il controllo della navigazione. Di "colonia" veneziana sul Bosforo non si parla ancora, anche se i veneziani moltiplicano gli investimenti patrimoniali su una piazza che, sotto il profilo fiscale, è assai più favorevole a loro che ai loro concorrenti, amalfitani e baresi in testa. Tuttavia i novant'anni che seguono segnano una definitiva affermazione che costituisce la premessa a tutte le fortune future della città lagunare. Ciò che accade, in quei novant'anni, nel bacino del Mediterraneo, pare fatto apposta per favorire gli sviluppi del rapporto privilegiato che lega Venezia, fin dalla sua nascita, con Bisanzio. L'alleaza veneziana ha permesso a Bisanzio di bloccare l'avanzata araba. Dalle brume del calano ora i biondi, giganteschi mormanni: di vittoria in vittoria, l'Italia meridionale è presto tutta nelle loro mani, le loro avanguardie si affacciano alla costa dalmata, la loro cupidigia si appunta sulle terre bizantine.E, nell'inevitabile scontro militare, i veneziani sono al fianco dei bizantini. Il cronista poeta Guglielmo di Puglia, pur celebrando la gloria del suo signore, il normanno Roberto Guiscardo, registra lo sgomento suscitato dall'intervento della "città popolosa, ricca di uomini e di mezzi" e della sua "gente esperta nella guerra navale e coraggiosa", che, in patria, " non può passare di casa in casa se non in barca "e non ha nessuno che le sia superiore nel combattere sul mare. Sulle vicende della guerra regna, nelle cronache una grande confusione. Quello però , che è certo, è che il Guiscardo non riuscì a sconfiggere l'imperatore d'Oriente, e che questi, con una nuova bolla d'oro, emessa nel 1082, oltre ad ampliare le esenzioni fiscali già concesse nel 992, le estendeva a una quantità di porti e di città interne dell'impero, dove i veneziani, da allora in poi, potranno negoziare in piena franchigia doganale. La lista si snocciola dal basso Adriatico al Mediiterraneo, all'Egeo: Durazzo, Valona, Corfù, Modone e Corone all'apice del Peloponneso, Nauplia in fondo al suo golfo, Corinto a cavalcioni dell'istmo, Atene e Tebe, Negroponte, Demetriade nel golfo di Volos, e poi Tessalonica, Crisopoli, Peritheorion in Tracia, fino ad Abido, ad Adrianopoli, a Rodosto, a Selimbria sul Mar di Marmara, fino allo splendore dell'opulenta capitale imperiale. Ma non si ferma tra le cupole e i bazar di Costantinopoli, riparte subito sulla sponda asiatica, lungo le coste dell'Asia Minore, da Focea a Efeso, a Chio, a Strobilo e Antalia, a Tarso, ad Adana, a Mamistra, fino ad Antiochia, fino a Laodicea. Non importa se non tutte queste piazze sono più in mano imperiale: il principio è sancito, e sancita è la disfatta commerciale degli amalfitani, troppo dipendenti dal mondo musulmano per potersi associare a Bisanzio contro gli arabi(e, adesso, assorbiti dagli odiati normanni nel loro regno d'Italia meridionale). La cosa più importante, ai nostri occhi, è un'altra ancora. Il "crisobulo" del 1082 riconosce l'esistenza di un quartiere veneziano in piena Costantinopoli. Ci sono due chiese, quella di San Nicola "de Embulo" e quella di Sant'Acindino, vicino alla quale si conservano i pesi e le misure in base alle quali si comprano e vendono l'olio e il vino, c'è un mulino e c'è un forno, più due botteghe. L'atto di donazione di Sant'Acindino al patriarca di Grado, firmato dal doge Ordelaf Falier nel 1107, descrive pittorescamente la chiesa "cum toto suo thesauro", con i suoi paramenti e i suoi libri, e accenna anche a "ergasteria", o depositi di merci. Sappiamo infatti che i veneziani possiedono moli o scali propri, con magazzini franchi nei quali depositano e vendono le loro mercanzie senza che gli impiegati del fisco bizantino possano mettervi becco.Questo schema di quella che non è ancora una colonia ma, piuttosto, una concessione, chiesa, scali e depositi, mulino, forno e centro pesi e misure, più il pozzo d'acqua dolce e, magari, il frantoio e il bagno pubblico, lo ritroveremo qualche anno dopo, in un'altra area del bacino mediterraneo. Papa Urbano II ha lanciato la crociata, per la riconquista dei luoghi santi di Siria e di Palestina occupati dai musulmani, l'Occidente feudale ha risposto con entusiasmo e, accanto ai cavalieri lorenesi e francesi, si sono subito schierati i normanni, ai quali non par vero di riprendere il loro cammino di conquista verso Oriente. Ci sono anche due repubbliche italiane, Genova e Pisa, che nella santa impresa vedono la possibilità di lucrare grossi guadagni. Venezia, sulle prime, esita: l'imperatore di Bisanzio vede con molta preoccupazione questa spedizione armata che non guarda tanto per il sottile e non fa troppe distinzioni tra ciò che è degli arabi e ciò che è suo, e Venezia, cucita a doppio filo con Bisanzio, vigila, attenta sugli interessi comuni. La prima a farsi avanti, come stato, è Genova, premiata della sua collaborazione alla presa di Antiochia con la donazione di un quartiere con chiesa, piazza e trenta case. Antiochia è, teoricamente, terra bizantina, nella quale l'imperatore ha concesso il privilegio dell'esenzione commerciale ai veneziani. Ma, dopo un violento scontro con la flotta di Pisa, in difesa degli interessi bizantini a Laodicea, si fa avanti anche Venezia, e in cambio del promesso recupero del litorale da Acri a Tripoli, ottiene dal re di Gerusalemme conquistata, Goffredo di Buglione, chiesa, forno, pozzo, fondaco e mercato in ciascuna delle città che verranno prese, più l'intera città di Tripoli, con esenzione da ogni imposta.Il mancato raggiungimento degli obiettivi concordati da parte della squadra navale veneziana manda a monte l'attuazione del patto, ma non lo stabilimento di un diritto. La parte del leone la fanno, dapprima, i genovesi; ma la conquista di Tiro, nel 1124, col concorso determinante dei veneziani, ottiene loro il possesso di un terzo della città, più un terzo della città di Ascalona. E, questa volta , lungo tutta la costa, da una città all'altra, nasce un vero e proprio sistema coloniale. Perché alle strutture fondamentali di protezione dell'attività commerciale si aggiungono, ora, concreti privilegi giurisdizionali. L'origine del sistema coloniale veneziano, dunque, la ritroviamo qui. Ma, per adesso, non è più di quanto hanno ottenuto i genovesi, primi arrivati, per il loro stato e per i loro armatori privati. Anche i pisani sono presenti. E, per quanto estesi divengano e si mantengano per tempo gli interessi veneziani nella sfera siriaco-palestinese, non è qui che si forma il futuro impero della Serenissima.

VENEZIA e BISANZIO

Il centro più vivo e più attivo dell'interesse commerciale veneziano è, più che mai, Costantinopoli. Nella prestigiosa capitale e in tutto il resto dell'impero bizantino, anche se vi sono stati ammessi altri mercanti italiani, le attività veneziane rappresentano la massa più importante di interessi mercantili. La presenza dei concorrenti è causa di malessere e di tensioni, ma sono i rapporti veneto-bizantini che si deteriorano rapidamente. Una crisi scoppia nel 1124, quando l'imperatore Giovanni Comneno si mostra riluttante a rinnovare i privilegi del 1082, e il doge Domenico Michiel, per convincerlo, devasta Rodi, Samo, Lesbo, Modone e Cefalonia, dove stabilisce una base militare che gli permetterà di molestare i territori bizantini fino a quando il monarca non si sarà deciso a rinnovare il decreto. La solidarietà militare tra Venezia e Bisanzio rinasce quasi automaticamente quando il normanno Ruggero II di Sicilia tenta l'assalto all'impero orientale. Ma le relazioni sono ormai avvelenate. I cronisti bizantini Cinnamo e Niceta sono i portavoce di un malumore sempre più diffuso fra i greci. Certo, i veneziani sono gran navigatori, gran marinai: tanto di cappello. Ma anche se si presentano, come difensori o, addiritura, salvatori dell'impero bizantino, come li fanno pagar cari, i loro interventi! Anche l'ultima campagna militare contro i normanni ha procurato loro vantaggi enormi: libertà di commercio in tutto l'impero, con l'esenzione totale da tutti i diritti erariali, anche da quelli, si badi bene, ai quali i bizantini continuano a rimanere soggetti. E fossero, almeno, riconoscenti! Il loro orgoglio, invece, cresce a dismisura, ogni concessione che ottengono li rende ancora più altezzosi e pretenziosi. E poi, hanno letteralmente invaso l'impero, si sono introdotti, sposando donne greche, nelle famiglie e nelle case. Eppure affettano disprezzo per i greci, che sovrastano con le loro grandi ricchezze. In verità, i veneziani sono dappertutto. Sono molte migliaia, nell'impero; nella stessa Costantinopoli sono una quantità, sparpagliati in tutti i quartieri cittadini, giachè il loro "embolo" non è che un quartiere commerciale, nel quale non abitano (ed è lo stesso nelle altre città dove si estendono le proprietà dei cittadini e delle fondazioni religiose di Venezia, soprattutto il patriarcato di Grado, la basilica di San Marco e l'abbazia di San Giorgio Maggiore). Ma non costituiscono vere e proprie "colonie" in nessun luogo: tra i privilegi che fanno indignare Cinnamo e Niceta, non ce n'è nessuno di carattere giurisdizionale. Tra loro, ci sono figure di grande rilievo,come quel Romano Mairano che incarna la larghezza di vedute e il coraggio imprenditoriale dei grandi mercanti-armatori veneziani del medioevo, o come Domenico Mastrocoli e Dobramiro Stagnarioo (quest'ultimo, evidentemente, ha del sangue slavo nelle vene) che vediamo comprare grosse partite d'olio a Corinto. L'olio figura in misura importante negli affari di questi negozianti, che commerciano non solo con l'Occidente, ma anche all'interno dell'impero, fra porto e porto, fra piazza e piazza, ma fra gli articoli che essi esportano da Costantinopoli figura anche, in prima fila, la seta, mentre tra le importazioni vi sono i panni di lana di Venezia, i metalli lavorati, il legname, le armi, ma anche le spezie e il cotone, acquistati in Palestina (i nobili Colomanno Bembo e Marino Michiel, per esempio, ne trafficano assiduamente sul triangolo Venezia-Gerusalemme-Costantinopoli). Poi, le tensioni internazionali e quelle interne giungono a una crisi gravissima. Il rifiuto di Venezia di appoggiare i tentativi di riconquista dell'imperatore Manuel Comneno nel bacino dell'Adriatico fa da detonatore ai rancori e alle invidie. Assicuratosi dell'appoggio genovese, il 12 marzo 1171 Manuele ordina la cattura di tutti i veneziani dell'impero. E' una grande operazione di polizia condotta di sorpresa e con molta abilità, soltanto pochi veneziani riescono a fuggire a bordo di una nave di Romano Mairano, e le prigioni dell'impero non bastano a contenere tutti arrestati. Naturalmente, i beni veneziani sono confiscati tutti. E' un disastro, e la campagna navale subito organizzata per ritorsione si risolve, con la complicità della peste, in un grave insuccesso. Per vari anni, le attività mercantili veneziane dovranno battere altre vie. Ma ride bene chi ride ultimo: quando, nel 1182, regnando Andronico Comneno, la popolazione di Costantinopoli massacra i residenti latini, i veneziani non hanno che rallegrarsi per la sorte che ha colpito i loro concorrenti pisani e genovesi, rimasti in Oriente. Queste sono le premesse all'impresa che, una ventina d'anni dopo, vedrà nascere l' impero coloniale veneziano di Levante. Un accordo stipuilato nel 1198 chiude la partita dei malumori veneto-bizantini e apre ai mercanti lagunari altre piazze, altre rigioni, come Janina nell'Epiro e Kastoria nella Macedonia occidentale, come Skoplje nella Macedonia interna, come Zagoria in Bulgaria, come Filippopoli in Tracia, come le Cicladi, più Creta, Zante e Leucade, più, in Asia, le isole di Samo e Mitilene, Rodi e Cos, più Filadelfia e tutta la Lidia in Asia Minore. E c'è, anche, un risarcimento per i danni provocati dalla confisca operata da Manuele nel 1171. Ma gli affari non sono ritornati prosperi come prima, ci sono ancora difficoltà, diffidenza, preoccupazioni. E Venezia, grazie alla sua accorta politica occidentale, ha visto accresciuta moltissimo la propria importanza nel quadro europeo.

I frutti di un buon contratto

E' a questa importanza politica, messa in grande rilievo dalla intermediazione svolta con successo nella grave contesa che aveva opposto papa Alessandro III all'imperatore Federico Barbarossa, che si deve la visita dei rappresentanti di un gruppo di potentati del mondo feudale, francesi e fiamminghi soprattutto, ma anche tedeschi, alla ricerca di chi trasporti le loro truppe, i loro cavalli, le loro armi e munizioni d'assedio in una nuova spedizione, in una nuova crociata, nata dalla predicazione appassionata e dalla appassionata ambizione di un grande pontefice, Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni. Lo scopo della crociata, ovviamente, doveva essere la riconquista del regno di Gerusalemme, perduto in seguito alla vittoria musulmana di Hattin. E, anche se l'arengo, che a detta del cronista Goffredo di Villehardouin, presente alla scena, radunò nella basilica di San Marco, nell'aprile 1201, diecimila veneziani, si lasciò trasportare da un'ondata di entusiasmo mistico e guerriero, quello che il doge Enrico Dandolo aveva stipulato con i rappresentanti dei crociati non era che un contrattodi trasporto, o di passaggio: Venezia avrebbe fornito le navi per trasferire per mare 4500 cavalieri, 4500 cavalli, 9000scudieri e 20.000 fanti, oltre ai viveri necessaria mantenere l'armata per un anno intero; inoltre avrebbe armato a proprie spese cinquanta galere. In cambio, i crociati avrebbero dovuto pagare 85.000 marche d'argento più la metà dei profitti realizzati dalla spedizione. Le navi avrebbero dovuto essere pronte per il 29 giugno 1202 nel porto di Venezia. L'obiettivo della crociata non era preciso nel contratto, ma, a quanto risulta dalla testimonianza di Villehardouin, avrebbe dovuto essere l'Egitto, considerato il cuore della potenza musulmana. E, il 29 giugno 1202, tutto è pronto secondo i patti: le galere, i viveri e quelle navi speciali che si aprono per lo sbarco della cavalleria e che vengono chiamate "uscieri". E' pronta, cioè, la parte di Venezia. Da parte dei crociati manca una quantità di gente, principi e baroni che hanno preferito marciare a piedi o percorrere altre vie, e una quantità di danaro, almeno 34.000 marche d'argento. Che fare? Dopo varie consultazioni, il vertice dei crociati approva la proposta di Enrico Dandolo: in cambio della somma non versata, essi aiuteranno Venezia a recuperare la città di Zara che si è ribellata e si è data al re d'Ungheria. Il fatto che Zara e il re d'Ungheria fossero cristiani non sembrò ai baroni crociati una buona ragione per rifiutare, nè al legato papale, cardinale Pietro Capuano, per opporsi. Soltanto Innocenzo III andò sulle furie e scomunicò i veneziani. Ma a tutti sembrava che la modesta deviazione richiesta valesse la pena, pur che la crociata potesse mettersi finalmente in moto. Ma, durante la sosta a Zara, avvenne qualcosa di assai più grave. Già nel tragitto dalle loro sedi verso Venezia i crociati avevano avuto occasione di incontrare il principe bizantino Alessio, figlio dell'imperatore Isacco Angelo, detronizzato e incarcerato dal fratello Alessio III, regnante in quel momento a Bisanzio. Il principe aveva chiesto il loro appoggio per riconquistare il trono, per il padre e per sè, e i principali capi crociati non avevano declinato apertamente l'offerta. Venezia non ne sapeva proprio nulla: stava faticosamente cercando di migliorare, a vantaggio del proprio commercio, i rapporti con Alessio III. Adesso, a Zara, gli inviati del giovane pretendente e di suo cognato, il potente principe tedesco Filippo di Svevia, avanzavano proposte concrete: in cambio dell'appoggio alla restaurazione, duecentomila marche d'argento in contanti, l'unione della Chiesa greco-ortodossa con la Chiesa romana, e un contingente di diecimila uomini per la lotta contro i musulmani. Erano i primi giorni di gennaio del 1203.



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